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venerdì 19 luglio 2013

Preghiera di un italiano sfiduciato



Del prof. Franco Bifani pubblichiamo questa preghiera. un tentativo di attualizzazione del "Padre Nostro" che blasfemo non è. Già altri filosofi di razza avevano compulsato la prima delle preghiere. Ne ricordiamo una interpretazione fra tutte: qualche decina d'anni fa il filosofo Emanuele Severino cercava di dimostrare che la "volontà di potenza" della cultura occidentale si rintraccia anche in questa preghiera all'indicativo.
Erano tempi di espansione economica, l'ultima prima della "globalizzazione", ancora l'occidente si pensava potente, la malattia poteva sembrare questa "volontà di potenza". Oggi le cose sono cambiate e nel Pater Noster di Franco rimane l'indicativo ma prevale la sfiducia come anche l'autore ha scritto in chiusura del suo pezzo. 


Preghiera di un italiano, purtroppo o per fortuna
Padre nostro, che da troppo tempo te ne stai solamente nei Cieli, dai quali sembra che Tu mai voglia ridiscendere, quaggiù, da noi, poveri italiani, sia santificato il Tuo nome, sempre e dovunque nominato invano; ma siano stramaledetti i tanti, troppi, di chi amministra e governa la nostra fragile nazione e la tua Chiesa, tra pompe e lussi. 
Venga il Tuo regno, una volta o l'altra, finalmente, dopo 2mila anni di attesa, schiacciati tra Mammona e ricchi epuloni, che ti invocano, novelli scribi e farisei, da mane a sera, ma razzolano nella spazzatura della Geenna. 
 Sia fatta la Tua volontà, non quella di chi ci governa e di chi ci ammannisce, di continuo, larghe e vacue benedizioni, tasse e balzelli mortali; e non tanto in Cielo, dove basti Tu, ma soprattutto qui, in terra italica, dispersa, divisa e calpesta. 
Dacci oggi almeno un tozzo di pane quotidiano, finché ti sarà possibile, ed un sorso d'acqua, pura e fresca, dove tu solo sai che ne sgorghi ancora, non certo quella che scende dai rubinetti di casa nostra. Ed oltre a rimetterci i debiti da cui siamo afflitti ed oberati, cerca di donarci anche quei pochi crediti che ancora possiamo vantare, presso di Te, te ne supplichiamo. 
Noi, siamo stufi di rimettere le valanghe di debiti ai nostri infami debitori, che tutto pretendono e nulla restituiscono in cambio. 
E non ci indurre, d'accordo, in tentazione, anche se ci rimane solo quella ad illuderci e a farci sognare, ma lasciaci almeno trasportare, ogni tanto, dall'indignazione e dal desiderio di ribellione, anche a suon di legnate, o Padre nostro, verso chi ci induce alla disperazione; anche Tuo Figlio, una volta, prese a bastonate i mercanti del Tempio. Amen! Parola di uno sfiduciato
Franco Bifani

4 commenti:

  1. Anche se non l'avesse firmata, avrei capito che, la preghiera, era stata scritta dal Prof. Franco Bifani. Io, di natura più fiduciosa, oggi, non voglio pregare chiedendo, ma ringraziando. Padre Nostro, grazie per quel poco che ancora ci dai. A volte, non meriteremmo neppure quello.

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  2. Clary, io, però, non capisco bene quella volontà esasperata di modestia ed umiltà, troppo accentuate, quel dolorismo, quella volontà di ridurci a poveri esseri che non si meritano nulla o solo poco da Dio. Certo, ci sono degli infamoni, tra gli uomini, ma non solo quelli; Dio non ha perdonato gli angeli ribelli, ma ha sacrificato Suo Figlio, per noi. Non siamo lo strame del mondo, ci meritiamo tanto, non poco. Siamo gli unici esseri del Creato a godere di natura spirituale, ma anche fisica;costituiamo un microcosmo che rispecchia il macrocosmo universale. E poi, Clary, noi godiamo del dono di un'anima, è vero, ma è anche la nostra pena implacabile; un animale soffre solo fisicamente, noi, invece, in duplice modalità, nel fisico e nello spirito. Il che costituisce un dolore tale, che, a volte, c'è chi preferisce darsi la morte, perché non ce la fa più. Un gatto od un cagnolino, se ignorati, patiscono meno di me, quando nessuno mi chiama, nessuno mi scrive, nessuno si ricorda della mia esistenza su questa valle di lacrime. "Biffo,in cerca di guai, Biffo,al telefono, che non suona mai, Biffo, allo sbando, senza compagnia..."

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  3. Franco, una rilettura di "La malattia mortale" di Kierkegaard ti gioverebbe. Non badare al titolo, vai prima al contenuto.

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  4. Ambrogio, le letture filosofiche mi trovano svogliato ed impreparato; ho letto il contenuto dell'opera, che mi hai suggerito, in succinto, e non mi pare di essere angosciato e nemmeno disperato. Penso che la mia fede in Dio, tralasciato ogni bizantinismo teofilosofico alla Ratzinger e dei suoi antecedenti e conseguenti, sia basata anche su un che di razionale, consderate le meraviglie del Creato, nel Bene come nel Male, che io ascrivo e riporto ad un Essere Supremo, di cui non posso né voglio sondare l'Insondabile. A Lui riferiwsco ogni mia povera, scarsa azione benefica, a Lui chiedo venia per i molti errori, pepetrati prima di tutto su di me stesso, molto meno, credo, sul mio prossimo. Mi resta un residuo di paganesimo foscoliano, nel desiderare, ahimè, questa volta di-speratamente, che di me rimanga, nella memoria individuale e collettiva di coloro che hanno incrociato ed intersecato la mia esistenza con la loro,anche solo un briciolo di memoria. Il pensiero di non lasciare la minima tracciadi me nel mondo mi pesa tantissimo; non mi va di essere buttato nel tritacarne di milioni di anni e di esseri umani, mi sembra di venire seppellito in una fossa comune. Riconosco che ciò è indice di eccessivo orgoglio, di una punta di superbia e di un senso di superiorità; ma non riesco proprio a pentirmene ed a chiederne perdono a Chi di dovere. Faccio forse del male, mortale o veniale, a me ed al mio prossimo? Kirkegaard, come tanti altri artisti, letterati e religiosi nordici, è cupo e pessimista, come la loro religione atavica, l'unica,in cui persino gli dèi muoiono in un'apocalisse universale. Sono gelidi e nebbiosi, come il clima delle loro terre.

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