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venerdì 4 ottobre 2013

Lampedusa: l'isola dell'accoglienza


All'inizio della nostra storia c'è un atto di accoglienza, decisivo ed unico. Questo dipinto di Rublev è ne è la massima espressione artistica, l'immagine dell'incontro in cui il capostipite Abramo accogliendo tre viandanti riceve la promessa. L'accoglienza è una vuota parola che assume un significato solo nel momento in cui è reale come ci dice, in questo scritto, Franco.  (P.A.)

Lampedusa

L'accoglienza è un’azione concreta, verso l'umanità sofferente, e non solo fatta di bla-bla, slogans, presidii ed occupazioni di piazze, cortei con bandiere di varia foggia e colore, manifestazioni di parata e di vetrina, da conformisti dell'anticonformismo. Non c’è altro paese al mondo in cui si metta in pratica questo impegno, in modo così costante e determinato, come a Lampedusa, dagli abitanti tutti, ai soccorritori, i medici, i paramedici, i volontari; la gente di Lampedusa continua a portare in salvo, a terra, i sopravvissuti e a raccogliere e comporre, pietosamente, i morti.

La gente di Lampedusa aiuta, da anni, gli stranieri, portati dal mare sulle rive dell'isola. Stranieri e clandestini. L’Unione Europea, colpevole assente in questa tragedia sulle sponde del Mediterraneo, dovrebbe, veramente, proporre il Nobel per la pace, da assegnare agli abitanti di quest’isola, esempio umile, silenzioso, modesto, ma ammirevole, di umanità e di fratellanza. 
Lampedusa, una minuscola isola, dal cuore immenso; uno dei suoi abitanti, che era presente alla tragedia, con altri sette amici, su una barca, nella rada dell’orrore, ha raccontato quanto vide, quella mattina. Fa l'ottico, non è un marinaio, un addetto della Protezione Civile, un esperto bagnino od un sommozzatore. Lui ed i suoi amici hanno, però, salvato ben 50 di quei poveracci, caricandoli sul loro natante, strapieno di profughi. Erano lì, a tirar sera, hanno salvato l'umanità. E gli abitanti di Lampedusa non hanno avuto bisogno, per muoversi a compassione del loro prossimo, degli interventi di certi politici nostrani, come asserisce l'ONU, o di predicozzi ecclesiali, per muoversi a pietà, verso gli ultimi della Terra. 
Lampedusa, porta dell'Europa, caritatevole e solidale, così vicina all’Africa -non ai Paesi nordici, sussiegosi ed egoisti, i cui rappresentanti siedono nelle stanze dei bottoni, dediti unicamente a controllare affari economici e transazioni finanziarie- ha ancora una volta insegnato che significa essere cristiani, ma non “da pasticceria”, come ha detto Papa Francesco; lasciano le pecorelle chiuse nell'ovile, al sicuro, per correre in salvamento, dai rapaci e dai feroci, delle vittime inermi dell'egoismo mondiale. 
Il sindaco di Lampedusa ha lamentato che gli abitanti sono stanchi, non di allargare le braccia agli immigrati, per accoglierli, in quel loro minuscolo lembo di terra, ma di dover ampliare i Centri di accoglienza e i cimiteri. Sul fondo del mare non giace un dollaro d'argento ed i bimbi non cantano, come nel Sand Creek, cantato da De Andrè; si scorgono invece, innumerevoli scarpette di bimbi, morti affogati, all'alba livida della loro povera esistenza, dimenticati da tutti, ma non da Lampedusa. Politici nostrani e trans-nazionali, che avete profuso caterve di parole, di aria fritta e rifritta, spargendo, per ogni dove, lacrime ipocrite di coccodrillo, smettetela con le contrizioni del giorno dopo; ora, si passi ai fatti: “Basta poco, che cce vo!'', ripeteva, in uno spot umanitario, con Giobbe Covatta, un bimbetto nero, i cui coetanei, a centinaia, si trovano, ora, sotto un muro di acqua salsa, testimoni muti, ma terribili, dell'indifferenza dei ricchi Epuloni europei.

Franco Bifani

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